Il grande incendio e l’invisibile reporter

Partire di notte per un servizio fotografico senza sapere bene cosa ci si troverà ad affrontare è un qualcosa che rende speciale il lavoro del reporter. Il più delle persone dormono, leggeranno le notizie all’indomani e vedranno immagini notturne senza domandarsi chi, alle ore piccole è andato a cercare i posti migliori per documentare l’evento.
Essere sul campo nel cuore della notte, con il sonno che avanza, il vento che soffia forte, le attrezzature a cui chiedere di fare l’impossibile è qualcosa che, chi fa un lavoro con degli orari prestabiliti, non può capire.

Era appena iniziato il giorno 26 del terzo mese del 2019 quando ho letto sui social che i boschi sopra Bornate, Fraz. di Serravalle Sesia (VC), stavano bruciando. Ero ancora in ufficio, sono tornato a casa, ho preso un mare di attrezzature dal grandangolo più estremo al più lungo tele, la Nikon D850 e, considerando che il vento soffiava forte, ho scelto un treppiedi pesante e sono partito.

Mi sono diretto ad Ara (Grignasco, NO): da li ero certo di avere una visione globale della situazione che mi avrebbe permesso di capire quanto fosse esteso l’incendio e quali zone avesse coinvolto perché le informazioni che avevo erano poche e imprecise.
Alla chiesa, posta in zona panoramica, c’era qualche curioso del posto che guardava, ma il vento è subito diventato fortissimo e tutti sono andati via. Temevo che qualche tegola o altri oggetti potessero colpirmi ma ho continuato a fotografare nonostante le forti raffiche di vento muovevano i quasi 6 kg di treppiedi e camera come fossero foglie su un ramo. Per scattare usavo il mio corpo a proteggere la macchina dalle folate. Con a disposizione un primo quadro della situazione ho quindi deciso di spostarmi a Bornate, dove le squadre anti-incendio controllavano che le fiamme non raggiungessero il distributore di benzina. Le immagini che ho realizzato sono impressionanti, il fuoco era vicinissimo all’abitato.

Sono serviti 9 giorni per domare le fiamme, l’incendio ha coinvolto complessivamente un area di 2200 ettari (22 km quadrati), l’operazione ha richiesto l’impiego di centinaia di uomini e mezzi.

Le mie fotografie, le uniche eseguite in modo professionale in quella nottata e realizzate in esclusiva per il quotidiano “La Stampa”, sono state rubate da diverse testate giornalistiche che non si sono neppure prese la briga di citare la fonte. A molte testate ho fatto presente la cosa, una ha rimosso una mia foto e l’ha sostituita con un’altra: anche quella era mia.
Immagini come quelle che ho realizzato anche se sembrano semplici, sono tecnicamente difficili da realizzare soprattutto in quelle situazioni climatiche. Serve un’attrezzatura di alto livello e tanta esperienza, ma quanti sono in grado di capirlo? Credo pochissimi. Nella visione collettiva sono solo immagini buone per essere salvate o peggio “screenshottate” e ripubblicate senza chiedersi se sia lecito farlo.

Siamo un esercito di professionisti sparsi in tutto il mondo, sempre più precari, sempre meno apprezzati. Il nostro lavoro non viene mai considerato importante anche se tutti sono curiosi di vedere le immagini dei fatti, le cercano sui giornali nelle edizioni cartacee e sul web.
C’è chi ci chiede che lavoro facciamo oltre al fotografo, la gente fa fatica a credere che sia un lavoro vero.

Perché in una società come la nostra dove la comunicazione per immagini è ovunque non siamo considerati?

Il fotografo fa un lavoro che da molti non viene neppure visto come tale, ci si trova in situazioni difficili, a volte pericolose senza che questo venga capito fino in fondo. Troppo spesso il nostro lavoro viene rubato ed è praticamente impossibile avere giustizia, siamo spesso considerati come sciacalli, la paga è sempre peggiore, il rispetto frequentemente non lo si ottiene neppure dai colleghi. Insomma, la situazione è pessima.

Sono convinto che in futuro saremo sempre meno ma resteranno i più motivati. Gli altri, i “photographer”, i “professionisti senza partita iva”, i “regalo le mie foto per vederle pubblicate su un giornale” possono fare grandi danni a chi lavora seriamente ma smetteranno appena si accorgeranno di perdere tempo. Io e chi come me ha la passione per questa attività continueremo a fare quello che facciamo finché ci sarà una testata che, come quella per cui lavoro, rispetta ancora i propri lettori. Perché pagare veri giornalisti e veri fotografi per realizzare un articolo non significa solo rispettare i propri collaboratori, significa soprattutto rispettare i propri clienti, i lettori.

Ho pubblicato questo articolo soltanto dopo un anno esatto dall’incendio perché non sono ossessionato dal “tutto e subito”, non mi interessa “cavalcare l’onda” per avere un pubblico vasto, mi importa che il lettore sia qui perché interessato.

Seguono alcune fotografie di quella notte e dei giorni successivi.

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